L’industria finanziaria ha una vera ossessione per le previsioni economiche.
Sono un elemento cruciale nelle decisioni d’investimento dei professionisti della gestione del denaro:
Partono dagli scenari economici.
Valutano le condizioni monetarie.
Identificano i settori più forti.
Studiano le singole aziende.
Scelgono quelle messe meglio.
Usano metodi quantitativi per decidere i tempi con cui prendere posizione.
I più sofisticati partono ancora da più lontano e valutano prima le condizioni sociali e politiche di quelle economiche.
Tutte queste analisi hanno tutte un punto in comune: usano modelli (economici, statistici, ecc).
Cosa sono i modelli?
Sono semplificazioni della realtà con cui si spera di anticipare il futuro.
I più banali prendono le tendenze del passato e le proiettano nel futuro.
I più complessi soppesano le cause dietro ai cambiamenti passati per prevedere quelli futuri.
A questo scopo, sono necessarie immense conoscenze di storia economica – e non solo – e delle leggi fondamentali dell’economia.
Malgrado questa conoscenza, le previsioni dei modelli restano incerte.
Esistono molte istituzioni autorevoli che pubblicano previsioni periodiche: banche centrali, organizzazioni internazionali, governi, università prestigiose.
Negli investimenti però è necessario che le previsioni siano più frequenti e tempestive e abbiano un focus sul breve termine (ad esempio sull’inflazione del mese successivo).
Chi è in grado di fare previsioni così puntuali ha un grande vantaggio e si potrebbe pensare che non condivida volentieri i risultati dei suoi modelli.
E invece, gli economisti delle case di gestione tengono un profilo pubblico per scopi di marketing.
I più quotati vengono anche intervistati dai media per i loro commenti sui dati economici, anche se spesso li spiegano solo a posteriori.
Le differenze di opinioni sugli indicatori economici sono comuni tra le case di gestione e riflettono al contempo teorie e scuole economiche diverse e visioni divergenti sulle prospettive dei mercati.
Peter L. Bernstein è stato uno dei commentatori economici più influenti di Wall Street.
Conosciuto per il suo bollettino quindicinale Economics and Portfolio Strategy, pubblicato per oltre 30 anni, ha guidato a lungo la propria società di investimenti ed anche è stato il primo redattore del Journal of Portfolio Management, tutt’ora una delle più autorevoli di riviste specializzate sulle gestioni di portafoglio.
Ricercatore pluripremiato, ha scritto anche libri di grande successo sulla storia del rischio e delle idee sul capitale e su come sono state implementate nel tempo a Wall Street.
Autore di alcune previsioni consegnate alla storia (tra cui la bolla del 2000), era comunque uno che ammetteva gli errori con lodevole autoironia ed esaminava attentamente cosa lo avesse portato fuori strada.
Dava del tu alla grande frustrazione delle previsioni che non si avverano.
Ma quando mai gli economisti ci azzeccano?
Questa è una critica che è tutt’altro che inappropriata.
Gli anglo-sassoni chiamano l’economia the dismal science, la scienza triste, perché prevede 3 recessioni per ogni recessione che effettivamente avviene.
Molte previsioni spesso riflettono più il passato che il futuro e questo ne riduce molto il valore.
Così, molti economisti peccano di prudenza e non si espongono, mentre più di un economista pare così sopravvalutato da sembrare più il capo di una setta religiosa che uno scienziato.
Modelli che semplificano troppo la realtà e soprattutto la loro l’incapacità di adeguare velocemente la previsione in risposta a cambiamenti imprevisti.
Questo è il vero problema delle previsioni.
Come risponde Bernstein?
Con la disarmante semplicità delle persone acute.
Anche gli scienziati che si occupano di voli spaziali possono prevedere con precisione l’ora e il luogo dell’impatto di un razzo sulla luna e solitamente non sbagliano. Ma se il razzo è colpito da un asteroide che lo manda fuori traiettoria o lo distrugge, la previsione risulterà del tutto errata.
Questo però non indurrà nessuno a suggerire un difetto ingegneristico o nei modelli matematici utilizzati nella previsione – tantomeno verranno messe in discussione le leggi di Newton.
Per Bernstein le previsioni economiche sono essenziali perché gli utili e i tassi di interesse – 2 variabili determinanti per gli investimenti - dipendono dalle condizioni economiche.
Ci si può sbagliare a breve termine, ma le proiezioni a lungo termine dell’inflazione, del PIL e di altri indicatori di salute dell’economia sono preziose per prendere decisioni di investimento intelligenti.
Non si può fare a meno di farle con buona pace degli errori inevitabili che l’economista commetterà.
Del resto, ogni scienza consiste innanzitutto nello studio degli errori.
E quindi?
Le previsioni restano cruciali per gli investimenti a causa del loro impatto sui potenziali guadagni.
Gli indicatori economici forniscono indizi sul futuro, ma spesso non possono anticipare quale sarà l'influenza dei governi e degli stessi mercati finanziari.
Nell’agone della competizione, le case di gestione hanno un incentivo a migliorare costantemente i loro modelli e a monitorare i possibili cambiamenti nella natura dei mercati.
In questo modo, i modelli economici fungono anche da sentinelle dei mercati e ne garantiscono efficienza ed equità: i regolatori non possono fare scelte senza che ogni istante gli operatori armati dei loro modelli esprimano il loro giudizio imparziale.
È per questo che spesso si dice che “i mercati hanno sempre ragione”.
Chi, come lo scrivente, studia le previsioni degli economisti, la più importante distinzione da fare tra una previsione e l’altra è questa:
L’approccio dell’investitore intelligente consiste nel considerare tutte queste tipologie di previsioni e trovare un compromesso saggio tra di esse.
L’investitore accorto definisce gli scenari e ad ognuno di essi si attribuisce una probabilità.
Quindi aggiusta le posizioni in portafoglio e mantiene un atteggiamento di francescana umiltà.
Di umiltà e… prudenza.
Con un po’ di esperienza questo risulterà più complicato a dirsi che a farsi.